La notizia circola da qualche ora sui principali organi di informazione nazionale, l’agenzia londinese Dubit recluta bambini e ragazzi per istruirli a diventare “brand ambassadors”, “ambasciatori di marca”. I minorenni hanno aumentato il proprio potere di acquisto già da qualche anno, allora perchè non sfruttare a pieno la loro grande conoscenza dei social network? La rete di relazioni adolescenziali? Il parlare senza peli sulla lingua e senza malizia? Se te lo dice un bambino ti puoi fidare eccome!
La logica è sempre la stessa: ti facciamo provare il prodotto in anteprima, ci guadagni la paghetta settimanale e ne parli agli amichetti. Mattel e Coca-Cola hanno già sperimentato il “sistema”. Non voglio calcare troppo la mano sull’etica dell’operazione, ma spero che loro abbiano la maturità necessaria per svolgere questo “mestiere” in modo consapevole (sempre che sia possibile alla loro età), spero che i genitori siano consapevoli di cosa vuol dire fattivamente “brand ambassador” e cosa vuol dire sostituire, mischiare e confondere il gioco con le ore che passano con il mouse in mano. D’altronde la televisione ha fin troppo abusato dei linguaggi e della semplicità dei minorenni. La cosa che mi preme sottolineare è che ancora una volta le aziende confermano la loro scarsa propensione a conversare (in modo onesto e trasparente). Sono passati più di 10 anni dalla pubblicazione delle 95 controverse tesi del Cluetrain Manifesto, che nel 1999 presagiva “the end of business as usual”. A che punto siamo?
©reativamente
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